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FEMMINISTERIE

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STARDUST MEMORIES

quando un podcast

diventa romanzo

AUDIO-RACCONTO

Che il podcast abbia possibilità evidenti di diventare uno tra i generi letterari più interessanti di questo momento, lo si può notare in quei

lavori che decidono di sperimentare un intreccio di materiali di foggia diversa, tenuti insieme dalla scrittura e dalla voce.
È quanto accade in Stardust Memories, miniserie radiofonica in quattro puntate in uscita il 27 gennaio su Radio Rai 3, scritta da Chloé Barreau

con contributi di Matteo Nucci, che potremmo sottotitolare:

«Storia di una parigina a Roma».

Nel ’99 Chloé ha vent’anni e un amore da dimenticare, è in vacanza nella città santa con degli amici francesi atei,

e come spesso capita per molti innamoramenti, avviene tutto senza preavviso, forse addirittura “per capriccio” come racconta l’autrice e voce narrante. Chloé s’innamora di Roma guardando un ragazzo ballare sul tavolo di un locale a Trastevere, lo Stardust: s’innamora  di quella gioia, di quei passi di musica gitana, di quella libertà di movimento e di una socialità che non chiede nulla se non di essere condivisa, o anche solo guardata; un senso tutto italiano di fare gruppo, di godersi la vita o almeno, riuscire a sopportarla meglio. 

Questo è il sogno che appare a Chloé quando vede Tony Allotta ballare su quel tavolo, colui che diventerà il suo angelo custode in quelle notti romane di “fragile ebbrezza” come le definirà lui stesso in una poesia scritta su un tovagliolo. Dalla fine di un’estate per un anno intero, quanto dura il racconto di Barreau, diventa possibile “improvvisare” la vita, esattamente come fanno con le note i musicisti dello Stardust che ogni sera si ritrovano

in questo minuscolo bistrot, insieme a studenti, artigiani, attori e oscuri scrittori, per dare una nuova energia

a quel luogo, che come tutti i luoghi magici, ha qualcosa di misterioso, di non completamente spiegabile: chissà perché proprio tra quei muri vissuti e scrostati che fanno pensare a quelli di una cantina si nasconde l’anima più autentica di Trastevere.

Un quartiere che prima era campagna e che tra qualche anno tutti vorranno viversi come un posto à la page, “cool”, lasciandolo infine svuotato di quel che era: un insieme di persone che s’incontravano ogni sera, ognuna con il suo umore, per condividere un tempo senza necessariamente “occuparlo”, con la ruvidezza e l’autenticità di chi non deve piacere per forza a chiunque.

Ed è questa stessa ruvidezza e generosità di sé che appartiene a Roma, tutta, una città in cui “se ci sono tanti gatti randagi è perché qualcuno gli dà da mangiare” ma puoi trovarne anche alcuni con mezzo orecchio portato via, morsicato – ci dice Chloé, che riprende la sua nuova vita con una telecamera, ce l’ha sempre dietro,

e noi di quelle immagini possiamo sentire i suoni: l’amico Tony un giorno riesce a sfilargliela via, sentiamo la sua voce quando le dice: “Strano che tu mi abbia permesso di prenderla, non te ne liberi mai.”

E i ruoli si invertono, per un attimo chi riprendeva è ripreso, anche se in realtà questo scambio si era già attivato nel momento stesso in cui Chloé fin dall’inizio ci aveva fatto sentire frammenti di conversazioni, musica, scherzi destinati a lei, oggetto e soggetto di narrazione;e sempre spettatrice sul campo di un’era antropologica destinata

a finire, non solo per la chiusura dello Stardust nel 2005, ma perché l’avvento dei social network cambierà per sempre la spontaneità dei rapporti. 

Alternando il suo materiale sonoro di repertorio con un racconto al presente in prima persona o con l’inserzione

di lettere scritte vent’anni prima, all’epoca dei fatti, Chloè intesse una trama di voci che non sono “solo” la sua, rendendo evidente quello che sempre è (stato): il nostro essere fatto di altri esseri, la nostra voce piena

di altre voci, la nostra singolarità che non prevede, non ha mai previsto, l’unicità. O se l’ha prevista,

è stato sempre per interposta persona:  sempre attraverso l’altro/l’altra si definisce il sé, si ha “sentore” di sé.

Stardust Memories ci consegna la coralità di un essere, di una voce che si definisce e riscrive sé stessa attraverso parole altre, di suo padre rimasto in Francia, di Marina, che le fa di nuovo battere il cuore proprio

allo Stardust, della nuova amica Paola e le sue confidenze amorose, di Anna, che in vicolo de’ Renzi ha creato

un “posto delle fragole”, della barista americana Leah che allo Stardust cercava “uomini artistici” e invece ha trovato una casa, e infine di Tony che ha aperto le porte di una città intera, il suo paesaggio sonoro, dagli stornelli delle osterie alle chiacchiere da bar alle canzoni cantate per strada per l’impulso di un momento. 

Ed è proprio nel significante di quelle conversazioni spezzate, di quelle parole che talvolta rimangono solo accenni di rumore, smarmittamenti di motorini; è in quella frenesia, quell’eccitazione evidente anche solo in un sospiro

per il nuovo secolo che comincia, che possiamo sentire la felicità di un momento, di un’epoca, di una giovinezza,

di una vita, di una città.

Di tutto ciò che è stato e non può più tornare se non come riverbero, riscrittura, tentativo romanzesco: un’eco profonda e lancinante che tiene insieme corpo e voce.

Caterina Venturini 25.01.2020

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