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LE COLPE DELL'AMORE

Recensione di Lucilla Grasselli

Chloe Barreau, dalla prospettiva di una figlia,

racconta la storia d'amore dei propri genitori,

padre Barreau e l'infermiera Segolène, fautori

di uno scandalo senza precedenti nella Francia

degli anni Settanta.

Può l'amore essere una colpa? Ingenuamente, verrebbe da pensare di no.

L'amore ci emancipa dalla nostra solitudine, corregge la nostra imperfezione. L'amore ci redime dalla nostra patetica singolarità, ci fa intravedere il nostro meglio, ci dà la forza per provare a raggiungerlo. L'amore ci rende immortali.

Può una cosa simile essere sbagliata?

Eppure, c'è chi non può amare chi desidera, perché la sua famiglia, o la società in cui vive, hanno già deciso per lui

con chi dovrà dividere l'esistenza. E anche nel civile occidente, chi ama una persona del suo stesso sesso è ancora troppo spesso tollerato più per ipocrisia che per convinzione, quando non apertamente condannato.

Non parliamo poi di un prete che osa innamorarsi di una donna.

Il matrimonio degli ecclesiastici è visto ancora oggi come un tabù inviolabile, e a maggior ragione lo era negli anni

Settanta, quando Padre Barreau decise di sposare Segolène, suscitando uno scandalo mai visto in Francia.

Non che non ci fossero mai stati preti che rinunciavano ai propri voti per i benefici della vita coniugale, ma erano

tutti preti qualunque, di piccole parrocchie, le cui storie potevano essere fatte passare sotto silenzio.

Padre Barreau no. Padre Barreau era un prete famoso, uno dei cosiddetti "preti operai", che si mischiavano ai giovani sbandati, andavano nei quartieri più poveri per portare la buona novella, o anche solo a far lanciare un po' di gente

con il paracadute, per sfogarne l'aggressività ed evitare risse e accoltellamenti, altrimenti all'ordine del giorno.

Un prete così sopra le righe, anche in un Paese che viveva la religiosità già in maniera molto meno conservatrice di quanto non si faccia in Italia, non poteva passare inosservato: ed è per questo che le autorità ecclesiastiche lo elevaronoda prete di periferia a prete dei borghesi, senza sapere che avrebbero in questo modo spianato la strada

ad eventi su cui non avrebbero più potuto esercitare alcun controllo.

Durante una conferenza, Jean Claude incontra Segolène. Basta uno sguardo, ed ecco che tutto è già successo:

i due si amano, per tanto tempo cercano di ignorare il proprio amore, ma poi capiscono che non ne vale la pena,

che non avranno un'altra occasione per essere felici. C'è la clandestinità, e, finalmente, l'uscita allo scoperto.

Dopo quarant'anni, sono ancora insieme, e la loro figlia, Chloe, ci racconta la loro storia.

Come la stessa regista ammette candidamente, questo non è un film sul celibato dei preti: è stato venduto così in modo da renderne più facile produzione e distribuzione. Questo film è una storia d'amore, punto e basta.

Una storia d'amore vista dalla prospettiva migliore, meno passibile di fraintendimenti: dalla prospettiva di chi di quell'amore è il frutto, e che meglio di chiunque altro ne può testimoniare la forza.

Chloe, ascoltatrice attenta e rispettosa, interpella prima il padre, un carismatico intellettuale che, con lo stesso piglio

di quarant'anni prima, non disconosce nessuna delle sue scelte, e anzi sa di poter guardare a testa alta il se stesso

ventenne, senza timore di averlo deluso.

Ma lascia spazio anche alla madre, una figura poco appariscente, se si consultano i filmati e le foto d'epoca, il cui ruoloè stato sempre assimilato a quello della tentatrice, tanto da essere allontanata dalla sua stessa famiglia, ma che come forza di carattere e determinazione non ha nulla da invidiare al compagno.

Il romanticismo che impernia tutto il racconto della Barreau, che non esita ad imprimere un'enfasi particolare ai momenti più concitati della vicenda, come a creare il climax necessario alla struttura di ogni favola che si rispetti, è accentuato dal parallelismo, tenero e ironico, con alcune scene dell'Io confesso hitchcockiano, quasi ad elevare il padre a una figura mitica, un eroe incompreso, ingiustamente accusato, ma sempre pieno di dignità.

Jean Claude Barreau amava ribadire ai suoi detrattori dell'epoca come la fede fosse prima di tutto comprensione, e non obbedienza. Una comprensione che a tutt'oggi stenta ad arrivare, se si parla di argomenti come il celibato dei preti, ed è giusto che il dibattito su un argomento così importante e delicato non smetta di venire alimentato.

Ma è altrettanto doveroso ricordare che, per quanto improbabile o contrastato un amore possa essere, rimane l'unica cosa in grado di guarire le nostre ferite, come ha fatto con quelle di Jean Claude e Segolène, che hanno coraggiosamente accettato la responsabilità di non rimanere da soli e ne hanno tratto la meritata ricompensa.

Recensione di Lucilla Grasselli

MOVIEPLAYER - 2013

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